Dopo una lunga attesa è finalmente arrivata la seconda stagione della serie televisiva The Witcher. Continua la trasposizione su piccolo schermo delle avventure narrate nella collana di libri scritti dall’autore polacco Andrzej Sapkowski, dopo una prima stagione che – non senza difetti – ha saputo richiamare l’attenzione, è giunta l’ora di parlare anche degli ultimi otto episodi usciti, in questa recensione senza spoiler.
Non c’è un attimo di tregua
Ci eravamo lasciati, sul finire della prima stagione di The Witcher, con i tre personaggi principali in un momento fondamentale delle loro vite. Geralt e Ciri si erano incontrati in un bosco sperduto, era bastato uno sguardo perché si (ri)conoscessero e fossero travolti dalla consapevolezza della forza del destino che li lega; d’altra parte, invece, Yennefer aveva appena decimato una parte dell’esercito di Nilfgaarda Colle Sodden, grazie ad un incantesimo dal potere devastante.
Ed è proprio da qui che la seconda stagione della serie Netflix riprende, dando un senso di continuità quasi esagerato (in senso buono). Se si volesse fare una prova e si decidesse di iniziare a guardare i nuovi episodi non dal primo della seconda stagione ma dall’ultimo della prima, non si avvertirebbero stacchi o soluzioni di continuità. Non c’è un attimo di tregua per i nostri eroi.
Da una parte, dunque, abbiamo lo Strigo e Cirilla che si sono finalmente incontrati – inconsciamente consapevoli dell’importanza che l’uno avrà per l’altra, e viceversa – e si dirigono verso una destinazione che sarà importantissima per questa stagione (e per quelle future): Kaer Morhen. In questa fortezza ormai a pezzi gli ultimi Witcher si ritrovano per svernare, guarire dalle ferite delle innumerevoli cacce e, ovviamente, bere. Qui faremo la conoscenza di alcuni nuovi personaggi, in primis Vesemir, uno Strigo anziano e mentore di Geralt. Sempre qui Ciri apprenderà i primi rudimenti della lotta e il legame con il Lupo Bianco diventerà sempre più profondo.
Purtroppo Yennefer non avrà la stessa fortuna e si ritroverà – per tutta una serie di cause – prigioniera dei nemici. Sola, dovrà liberarsi, scappare e cercare risposte ad alcune domande che la porteranno ad affrontare verità (forse) più grandi di lei. Purtroppo, in questa recensione senza spoiler, non possiamo dire altro riguardo le vicende che vedranno coinvolta la maga.
Il ritorno nel Continente
Un ritorno nel terribile e freddo Continente dunque, perché non sono solo i personaggi a rapire la scena, anche il mondo di TheWitcher sa stregare. Nel corso della prima stagione ci era stato dato un assaggio della crudeltà di queste terre, e le cose non sono di certo cambiate.
Boschi oscuri e inospitali, fredde montagne innevate, villaggi poveri e dall’aria malsana sono quello che ogni viaggiatore del Continente avrà la sfortuna di trovare sul suo cammino. Questo è un aspetto che è stato sottolineato piuttosto bene anche in questa seconda stagione – al netto di un po’ di confusione nel definire le varie località su un’ipotetica cartina – che non è parca di riprese dall’alto sui vari sfondi, il mare di Aretuza, il pendio montano dove si erge l’ormai decadente KaerMorhen, la vasta pianura di Cintra.
Ma se parliamo del Continente non possiamo non citare anche i mostri che lo popolano, creature abiette e malvagie che si nascondono in ogni anfratto, pronte ad attaccare l’ignara vittima. Il costante pericolo e le stragi compiute dai mostri hanno reso necessaria, in passato, la creazione degli Strighi e sono, di fatto, la ragione stessa della storia. L’importanza delle tante vili creature che abitano il Continente è cruciale, quanto cruciali – ai fini della godibilità dell show – sono i combattimenti fra queste e i protaognisti, spettacolari esattamente come quelli della prima stagione.
Una seconda stagione di passaggio
Per concludere si potrebbe dire che questa seconda stagione di The Witcher è “di passaggio”, nel senso che le avventure narrate in questi otto episodi (di circa un’ora l’uno) sono finalizzate al proseguimento della storia. Sembra scontato dirlo ma in realtà non è così: quello che Netflix sta facendo con questa serie, per ora, è un lavoro di costruzione. Nella prima stagione sono state gettate le basi di quello che è il mondo della serie stessa, in questa seconda parte abbiamo un approfondimento dei personaggi – e delle loro relazioni – e varie strizzate d’occhio ad avvenimenti che sicuramente avremo modo di vedere in futuro.
Non siamo di fronte ad un prodotto perfetto, anzi alcune incertezze nel modo di gestire le storie dei vari personaggi si fanno sentire (eccome), rendendo il tutto un po’ confuso. Al netto di questo, però, è difficile rimanere distaccati di fronte alla crescita dei personaggi, al dipanarsi delle loro vicende e soprattutto alla lotta continua e stremante che un mondo del genere, un universo in così veloce e costante movimento, impone.
Se avrete voglia di ritornare nelle fredde lande del Continente, sapere quello che Geralt, Ciri e Yennefer dovranno affrontare allora guardate questa seconda stagione di The Witcher senza paura, consci del fatto cheil meglio deve ancora arrivare.
Giurista appassionato di videogiochi che ama passare delle ore a guardare anime e serie tv, sembra una descrizione strampalata ma quando si aggiunge anche un sano amore per la palestra... il risultato è ancora peggio. Eppure una volta ero capace di vendermi bene.
Empire Of Shit: È italiano il nuovo film in collaborazione con il mangaka Shintaro Kago, autore di “Principessa del castello senza fine”, “Fraction”, ”Anamorphosys” e tanti altri titoli cult per i fan del genere.
Il regista infatti è Alessio Martino: Salerno, classe ‘2000, laureando in Cinematografia presso l’accademia delle Belle Arti di Napoli.
Questa storia inizia nel 2021, quando Kago e Martino incrociarono le loro strade grazie alla partecipazione di quest’ultimo al Contest Cinematografico Unco Film Festival, in cui il famoso mangaka partecipava in qualità di organizzatore e giudice. Martino presentò allora il suo corto “Brief Clisterization of Ideology”, ambientato in un mondo distopico, con la quale si aggiudicò il secondo posto.
Un anno dopo, nel 2022, Martino partecipò nuovamente al concorso con il film “The Formidable Wave that Destroyed and Recreate the World”, aggiudicandosi questa volta il primo premio: la merda d’oro.
Vi è infatti un tema comune in queste opere: la merda. Ed è infatti da questa idea, che Martino presentò a Kago nel 2023, che nasce The Empire of Shit.
La trama è apparentemente molto semplice:
Una giovane donna desidera che le sue feci abbiano un profumo gradevole, e il suo desiderio si avvera. Questo scatena la cupidigia del suo fidanzato, che vede un’opportunità di lucro in questa straordinaria qualità, trasformando una situazione intima in un’impresa commerciale bizzarra e surreale. Ci sarà però un’escalation di eventi, che porterà ad un finale inaspettato. Se tutto ciò vi ha incuriosito: non sentitevi soli, anche noi vorremmo sapere di più su cosa aspettarci, e proprio mossi da questa curiosità, abbiamo intervistato Alessio Martino, il regista di Empire of Shit.
Ciao Alessio, innanzitutto grazie per averci concesso questa intervista, perdonami ma la peculiarità del progetto mi porta a saltare alcune domande di rito e passare direttamente a questa:
Perché la Merda?
Ed è questa la domanda che ogni autore vorrebbe sentirsi porre. Scherzi a parte, sia io che Kago abbiamo molto a cuore il tema della merda perché nessuno gli dà il giusto peso. Che sia una commedia o uno Splatter la merda finisce sempre per essere del grottesco fine a se stesso ma fermandoci a riflettere sopra la materia di scarto ci si può trovare una grande fonte di riflessione.
Qual è il processo creativo dietro le scelte più audaci, sia visivamente che a livello narrativo?
Il divertimento. Quando il progetto è nato c’era una sola idea chiara in ballo: un Gojira fatto di cacca. Questo è uno di quei progetti dove il perno centrale su cui tutta questa macchina deve muoversi è proprio il divertimento. Dai costumi alla recitazione, tutto deve essere motivato dalla voglia di sperimentare e divertirsi su qualcosa che non si prenderà mai abbastanza sul serio… e forse proprio per questo sarà molto più seria di quanto essa stessa crede.
Hai lanciato una campagna indiegogo per finanziare questo progetto: qual è il tuo end-goal?
Prendere i soldi e scappar… cioè! volevo dire, realizzare un lungometraggio. Anche se sembra un’impresa titanica il goal finale sarebbe quello di poter estendere la durata del film al punto tale da darle un corpo vero, e con esso verrebbero tutte quelle fantastiche chicche in più, come la storia manga prequel disegnata da Kago
Come hai attirato l’attenzione del Maestro Kago?
Ma, di per sé è stato un evento molto organico. Ero a Lucca Comics per girare un documentario, lui era lì come ospite e gli ho semplicemente chiesto di prenderci una birra insieme (le birre alla fine furono molto più di una). Da lì Kago mi ha dichiarato tutto il suo interesse nel voler dedicarsi da anni ad un progetto cinematografico senza avere però mai il tempo per poterlo fare effettivamente. E da quì è arrivata la mia proposta…
Quanto influisce la presenza del mangaka sulla produzione del film?
Tantissimo. Sotto ogni aspetto. Il progetto senza di lui non esisterebbe proprio. Tutto l’aspetto visivo della fabbrica, dei mostri (Coff, coff… scusatemi per lo spoiler), della palette cromatica e del taglio narrativo è tutto frutto della sua vena artistica che noi come troupe stiamo concretizzando.
Che emozioni pensi scaturirà il tuo corto nel pubblico?
Così come ti dicevo riguardo il processo creativo, io spero diverta. Spero davvero che lo spettatore si senta annichilito da tutta la follia che gli verrà tirata addosso e che l’unica cosa sensata che si senta di fare sia ridere. Se poi restassero shockati e traumatizzati al punto tale da volerci denunciare, beh se la vedranno con i legali miei e di Kago!!
Posso avere anche io dei gadget?
No. Scherzo! Se la campagna supererà il goal base, ci saranno belle sorprese per tutti i donatori, ma non posso dire altro ora.
Ti ringrazio nuovamente per averci dedicato del tempo parlandoci del tuo progetto.
Ma grazie a te per avermi dedicato il tuo. E come dice la nostra mascotte Mr. Unkoman: “Unko! Unko! Unko!”.
Cari lettori, non sappiamo esattamente cosa aspettarci, ma l’hype c’è, e sicuramente ciò che fa più piacere è vedere un talento emergente nostrano mettersi in gioco.
Potete anche voi finanziare questo progetto tramite la campagna indiegogo!
Il documentario Il Padiglione sull’Acqua è un viaggio, estetico e poetico, nell’immaginario dell’architetto veneziano Carlo Scarpa e nella sua passione per la cultura giapponese. Il Giappone rappresentò per l’architetto un universo ispirazionale ma fu anche il luogo dove egli morì, nel 1978, all’apice della sua carriera, ripercorrendo misteriosamente i tragitti del poeta errante Matsuo Bashō.
Attraverso le impressioni suggerite dal filosofo giapponese Ryosuke Ōhashi, la narrazione si sviluppa lungo il filo di una domanda, la domanda sul senso della bellezza. La possibilità̀ di questa riflessione accomuna qui le opere scarpiane e l’estetica tradizionale giapponese. Venezia, nella veste di porta verso l’Oriente e luogo di nascita di Scarpa, e l’esplorazione incantata delle sue opere, sono l’occasione per rievocare la poetica ed episodi emblematici della vita dell’architetto.
Essi sono restituiti attraverso le parole del figlio Tobia, dagli allievi Guido Pietropoli, Giovanni Soccol e Guido Guidi, e dal ricercatore J.K. Mauro Pierconti. Un sentimento di nostalgia colora tutta la narrazione. Una nostalgia per quell’evento raro che è la nascita di un artista. Seppur ora abbia abbandonato questa terra, lascia in dono le sue opere e la meraviglia che esse tuttora suscitano.
Carlo Scarpa il Giappone
Carlo Scarpa amava definirsi «bizantino nel cuore, un europeo che salpa per l’Oriente» e proprio come l’artista veneziano, Stefano Croci e Silvia Siberini viaggiano attraverso le ispirazioni nipponiche che lo hanno guidato nella sua costante ricerca del senso della bellezza.
Per farlo, in Il padiglione sull’acqua si fanno guidare dalle ispirazioni del filosofo Ryōsuke Ōhashi e dalle testimonianze del figlio Tobia Scarpa, degli allievi Guido Pietropoli, Giovanni Soccol e Guido Guidi, del ricercatore J.K. Mauro Pierconti, degli artigiani Paolo e Francesco Zonon e della maestra di ikebana Shuho Hananofu.
Nel 1978 Carlo Scarpa tornò in Giappone. Nessuno sa con precisione quali fossero i suoi intenti. Il celebre architetto giapponese Arata Izosaki ha ipotizzato che stesse ripercorrendo le stesse tappe del poeta errante Matsuo Bashō, riportate nel diario di viaggio Lo stretto sentiero verso il profondo nord, ma purtroppo morì a seguito di una tragica caduta e non raggiunse mai la meta anelata.
Lasciò incompiute delle opere, che lo resero ancora più celebre, come il Memoriale Brion a San Vito di Altivole in provincia di Treviso, scelto anche da Denis Villeneuve tra le location del prossimo capitolo di Dune.
Apple TV+ ha svelato il trailer di “Constellation”, il nuovo thriller psicologico composto da otto episodi intepretato da Noomi Rapace (“Millennium – Uomini che odiano le donne”, “Non sarai sola”, “Lamb”, “Seven Sisters”) e dal candidato all’Emmy Jonathan Banks (“Breaking Bad”, “Better Call Saul”). La serie farà il suo debutto su Apple TV+ il 21 febbraio con i primi tre episodi seguiti da un episodio a settimana, fino al 27 marzo.
Creata e scritta da Peter Harness (“Il commissario Wallander”, “The War of the Worlds”), “Constellation” ha come protagonista Noomi Rapace nel ruolo di Jo, un’astronauta che torna sulla Terra dopo un disastro nello spazio e scopre che alcuni pezzi fondamentali della sua vita sembrano essere scomparsi. La serie è un’avventura spaziale ricca di azione che esplora i lati più oscuri della psicologia umana e segue la disperata ricerca di una donna nel tentativo di svelare la verità sulla storia dei viaggi spaziali e di recuperare tutto ciò che ha perso.
Cast Constellation
Nel cast della serie figurano anche James D’Arcy (“Agent Carter”, “Oppenheimer”), Julian Looman (“Emily in Paris”, “Mallorca Crime”), William Catlett (“A Thousand and One”, “Coppia diabolica”), Barbara Sukowa (“Passioni violente”, “Hannah Arendt”) e con la partecipazione di Rosie e Davina Coleman nel ruolo di Alice. Diretta dalla vincitrice del premio Emmy Michelle MacLaren (“Shining Girls”, “The Morning Show”, “Breaking Bad”), dal candidato all’Oscar® Oliver Hirschbiegel (“La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler”, “The Experiment – Cercasi cavie umane”) e dal candidato all’Oscar® Joseph Cedar (“Footnote”, “Our Boys”).
Produzione
Prodotta da Turbine Studios e Haut et Court TV, “Constellation” è prodotta esecutivamente da David Tanner (“Small Axe”), Tracey Scoffield (“Small Axe”), Caroline Benjo (“No Man’s Land”), Simon Arnal (“No Man’s Land”), Carole Scotta (“No Man’s Land”) e Justin Thomson (“Liaison”). MacLaren dirige i primi due episodi ed è produttrice esecutiva insieme a Rebecca Hobbs (“Shining Girls”) e al co-produttore esecutivo Jahan Lopes per conto della MacLaren Entertainment. Harness è produttore esecutivo attraverso la Haunted Barn Ltd. La serie è stata girata principalmente in Germania ed è stata prodotta da Daniel Hetzer (“Monaco – Sull’orlo della guerra”) per Turbine Studios, Germania.