Un Van Gogh come non è stato mai raccontato, e sicuramente ben diverso dal Van Gogh che viene studiato sui banchi di scuola. Questo è Vincent e Van Gogh, magistralmente disegnato e narrato da Gradimir Smudja, e portato in Italia, assieme a molti altri, piccoli capolavori di narrativa a fumetti, dalla casa editrice Kleiner Flug.
Tutti, chi più, chi meno, siamo a conoscenza della figura storica e artistica di Vincent Van Gogh, delle sue opere d’arte, della sua vita che definire particolare suonerebbe estremamente approssimativo, e del suo orecchio tagliato, conservato in un bicchiere. Ma forse non tutti sono a conoscenza del suo lato umano e sofferente, del suo estro artistico e dirompente, del ruolo fondamentale del fratello Theo nella sua vita, della struggente realtà di un animo mite che sente il bisogno di creare, di realizzare e di essere all’altezza del panorama artistico in cui vive. Soprattutto, quasi nessuno sa, o si ricorda, dell’esistenza del suo gatto, Vincent.
Perché sì, Van Gogh aveva un gatto. Di nome Vincent.
Vincent
Vincent è un giovane gatto di strada, maltrattato dai suoi pari, accolto in casa da un Van Gogh impegnato a fare i conti con l’incapacità di realizzare opere artistiche di quest’etichetta. Vincent è anche un artista, un gatto pittore, così come molti altri esponenti della sua famiglia prima di lui, che hanno accompagnato le carriere di molti pittori famosi – Rembrant e Delacroix, tanto per nominare due sconosciuti – verso il successo.
Vincent è un genio, e sa di esserlo; ama l’arte, le belle donne, le belle gatte, le feste e il denaro, la fama e la ricchezza. Vincent è un artista sregolato e la sua coscienza sembra avere una voce, impersonata dal povero, disperato Van Gogh, solo al culmine della disperazione; ma d’altronde è un gatto, come lo si può biasimare?
Van Gogh
Van Gogh è un artista esordiente, che non è mai soddisfatto del suo operato, mai apprezzato dagli amici e dagli artisti di cui si circonda, come Gauguin e Lautrec, che vedono nei suoi lavori tele orribili e disegni degni di un amputato di braccio. Van Gogh è solo, triste e monco di ispirazione artistica, malgrado la frizzante Parigi che fa da sfondo all’inizio della sua avventura come pittore. Solo dopo essersi trasferito ad Arles, nella sua casa gialla e con il suo letto giallo, alla ricerca di un’illuminazione, di aria fresca e di nuove idee, avrà modo di dare una svolta alla sua carriera, incontrando il giovane Vincent.
Vincent diventa il suo biglietto per il riconoscimento e la fama che tanto anela e si sostituisce, senza troppe cerimonie, a lui come pittore. Lo stesso Van Gogh vede nelle opere di Vincent ciò che nei suoi disegni e nei suoi dipinti manca: verve, ispirazione, sentimento, arte, magia. Vincent resta, in cambio di vitto e alloggio, e prova e riprova, a modo suo, a trasmettere a Van Gogh, se non insegnamenti, un pizzico del suo talento. Eppure non c’è verso. Eppure Vincent è l’artista, mentre Van Gogh resta il suo fanalino di coda, una semplice garanzia di una vita comoda per un ex gatto di strada.
L’opera
Vincent e Van Gogh, visti separatamente, come gatto e uomo, sono un duo artistico che funziona ma non decolla, troppo diversi l’uno dall’altro, agli estremi di uno spettro animale e umano che difficilmente riuscirebbero a trovare un punto di incontro, se non per comune convenienza.
Vincent e Van Gogh, visti assieme, in un’unica, portentosa figura riconoscibile sotto il nome di Vincent Van Gogh rappresentano in ogni suo aspetto l’artista che tutti noi abbiamo studiato.
Questo è, dunque, il duo vincente: ciò che a prima vista appare come un surreale incontro tra un gatto e un uomo che ironicamente condividono lo stesso nome, non è altro che un’analisi estremamente approfondita della vita di un pittore affetto da disturbi mentali, tra cui schizofrenia e disturbo bipolare, e piagato dai vizi. Più che disturbato, tuttavia, Vincent Van Gogh è tormentato, e il suo tormento è reso palese nelle due voci dissonanti di Vincent-gatto e Van-Gogh-uomo.
Vincent rappresenta la potenza creativa, l’estro nelle sue svariate sfumature: è caotico, disturbato, sregolato, smodato, eccessivo, alle volte aggressivo, violento; tutto ciò che crea è magico e porta con sé una carica emotiva senza pari.
Van Gogh è la parte terrena, umana, fragile e umile di un uomo, prima che artista, incompreso e disprezzato, che scende a patti con la creatività e che, pur di averne un assaggio, ne tollera sregolatezza ed eccessi.
Nell’incontrarsi, creano la figura strampalata, a tratti mitica, di Vincent Van Gogh. Nell’essere caotico, Vincent porta con sé quell’aura di malattia e disturbo mentale; nella sua pacatezza, è Van Gogh che impersona l’umanità, la ragione e la parte più o meno stabile di Vincent Van Gogh.
È Vincent, a tagliare l’orecchio a Van Gogh. È Van Gogh, che permetterà a Vincent di sopravvivere, offrendogli l’illusione di una vita stabile.
Sceneggiatura
Vincent e Van Gogh è stato scritto con la chiara idea di voler accompagnare il lettore, una tavola alla volta, un dettaglio alla volta, nella vita sregolata di Vincent Van Gogh. Un narratore evanescente traccia il contesto dell’opera, mentre Vincent, Van Gogh e tutti gli altri personaggi raccontano con l’espressività delle loro interazioni l’intera vicenda.
Nulla viene a mancare, nella scrittura di Vincent e Van Gogh: ciò che non viene detto, viene lasciato intuire; ciò che sembra campato in aria, ha, invece, perfettamente senso. Perché Van Gogh non abbia un nome vero fino ad una buona metà della narrazione, per esempio, viene egregiamente reso palese in una sequenza di tavole tanto potente quanto unica. Il lettore si trova costretto a perdonare e, anzi, ad elogiare la scelta dello scrittore, che fa del tanto celebre “show don’t tell” un’arma vera e propria. Dunque Van Gogh non è solo la parte umana di Vincent Van Gogh, ma è anche il supporto, e l’appiglio certo di Vincent Van Gogh stesso, ossia suo fratello Théo. Morto Vincent, infatti, Van Gogh troverà posto al suo fianco sei mesi più tardi, esattamente come Théo ha trovato posto al fianco del fratello sei mesi dopo la sua dipartita, distrutto dai sensi di colpa e dal dispiacere.
Ma Vincent e Van Gogh non si ferma qui: si potrebbe pensare ad un fumetto triste e sofferto, pesante da leggere e difficile da digerire. Al contrario, questo piccolo capolavoro è divertente, ironico e irriverente. Gioca con l’arte e con i suoi esponenti, gioca con figure realmente esistite al di fuori del pittore e delle sue immediate vicinanze, come ad esempio Marilyn Monroe, Vincenzo Valentino e Alfred Hitchcock, risultando piacevole da leggere e curioso da sfogliare.
Anche dopo la morte dell’artista, la vita delle opere di Vincent Van Gogh continua, nella metaforica rinascita del dinamico duo che esce dalla tomba cent’anni più tardi, per vedere le proprie opere finalmente esposte in un museo e ammirate da visitatori e curiosi; nonché copiate.
È stato pensato per essere un fumetto da rileggere: se una prima lettura lascia qualche nozione e un piacevole senso di soddisfazione, una seconda porta a scavare a fondo tra le tavole e tra le righe per scovare dettagli nascosti, rimasti, per forza di cose, inapprezzati al primo incontro. Una terza lettura, addirittura, garantisce completezza, comprensione e pieno appagamento dato dalla chiusura coerente, avvincente e viva dell’intera opera.
I disegni
Se la storia, fin qui, vi è parsa particolare e degna di essere vissuta, aspettate di imbattervi nei disegni. Lo stile dell’intero fumetto è, per così dire, vangoghiano: i colori, il tratto e la filigrana sono un chiaro e ben riuscito omaggio a Van Gogh e al suo genio. Non una sbavatura, non un’imperfezione. Non vi verrà dato modo di distrarvi dallo stile di Van Gogh nemmeno per un istante. Se per qualche disgrazia, qualcuno di voi si fosse dimenticato dell’aspetto, la dignità e la bellezza di un Van Gogh, dopo questa lettura non avrete più scuse e l’arte di Van Gogh sarà per sempre marchiata a fuoco nella vostra mente.
Un secondo plauso va agli inserti meravigliosi e i riferimenti alle opere non solo di Vincent Van Gogh ma di molti altri artisti: Monet, nascosto tra le sue ninfee, Gauguin e la sua Tahiti, Delacroix e la sua Libertà che guida il popolo, e così via. L’intero fumetto, in termini di inquadrature e di prospettive ragionate, è una “caccia all’opera” divertente ed educativa, come lo stesso Vincent, che si ritrova a mangiare “patate, ancora patate, sempre patate”.
Conclusione
In chiusura, non resta che esprimere a chiare lettere il sincero consiglio di questa lettura. È un fumetto difficile da dimenticare, un lavoro ambizioso incredibilmente riuscito. La sola idea di trasformare e raccontare in fumetti un percorso di vita sempre in salita, travagliato e sofferto, tinto nei colori e nello stile di un artista di fama internazionale, vale l’esperienza. Se a questo si aggiungono un’ottima scrittura, un disegno eccelso e un Vincent felino, la lettura diviene d’obbligo. In fondo, chi mai si sarebbe aspettato che fosse un gatto, a dipingere per Van Gogh? O un pappagallo, a fare lo stesso per Gauguin?