Il Club dei Suicidi è un classico della letteratura Occidentale, un capolavoro di Robert Louis Stevenson, che mescola i generi e le prospettive in un crescendo di tensione e suspense narrativa. Il titolo fa parte della raccolta Le nuove Mille e una notte (The New Arabian Nights del 1882) e in questo fumetto edito da Kleiner Flug, della collana Narrativa fra le Nuvole, riprende vita attraverso il disegno di Eddy Vaccaro e i testi di Clément Baloup che sono riusciti nel rendere l’opera moderna e attuale anche per i lettori meno avvezzi ai classici.
Trama
Per fare una sintesi della storia, senza togliere il gusto della lettura, basterà dire che il fumetto ha come protagonisti il Principe Florizel di Boemia e il suo fidato Grande Scudiero, il Colonnello Geraldine, che si trovano invischiati in uno strano club di cui presto scopriranno il lato più oscuro.
Il fulcro di tutta la complessa vicenda è il macabro Club dei Suicidi di Londra, che rappresenta una sorta di cornice narrativa, mentre la trama si sviluppa attraverso tre storie che, dopo un viaggio per l’Europa, riporteranno il lettore proprio dove è cominciato tutto per la terribile resa dei conti.
Ma partiamo dall’inizio. Il Principe Florizel di Boemia è in viaggio a Londra e come molti nobili, stanco dei soliti intrattenimenti, cerca sempre qualcosa che possa destare la sua curiosità e il suo interesse. Mai pago dell’avventura coinvolge nei suoi piani il Colonnello Geraldine insieme al quale mette mano ai più vari travestimenti per poter assaporare la vita notturna della città.
Una sera si imbattono in giovane che offre pasticcini alla crema, incuriositi lo seguono e questo li introduce nel Club dei Suicidi, un particolarissimo circolo, all’apparenza come tanti della Londra dell’800, ma che nasconde un terribile segreto: i soci del club cercano, chi per un motivo chi per l’altro, la morte e saranno le carte a decretare vittima e carnefice.
“Le dirò come ogni sera venga scelta non solo la vittima, ma anche un altro membro che diviene lo strumento nelle mani del Club e, in quell’occasione, il ministro della Morte”.
“Buon Dio! Allora si uccidono l’uno l’altro?”.
In queste battute sta tutta la modernità di questo racconto: nel Club si mette in gioco la vita, per porre fine ad angosce e sofferenze, e lo stesso costringe i membri a farsi ministri di morte per gli altri soci. In questo modo nessuno potrà mai parlare del club, perché tutti sono colpevoli e soprattutto nessuno scapperà, anzi ormai carnefici involontari il loro desiderio di morte si farà sempre più forte. Il Presidente del Club dei Suicidi riesce così a mettere in piedi un piano criminale perfetto, senza che nessuno possa incolparlo di alcun crimine.
Questa rivelazione sarebbe stata abbastanza per far scappare chiunque da quel posto macabro, invece il Principe Florizel, nonostante le suppliche del Colonnello Geraldine che cerca di dissuaderlo, resta affascinato dalla figura geniale e perversa del Presidente del Club e decide di sedersi al tavolo da gioco.
Primo giro di carte: chi riceverà l’Asso di fiori sarà l’assassino, chi quello di picche sarà la vittima designata. L’ansia sale e per la prima volta Il Principe pensa di aver avuto una pessima idea e ad ogni carta girata qualcuno tira un sospiro di sollievo, altri sono gettati nella più cupa disperazione.
Riescono per fortuna ad uscire indenni dalla prima sera, ma per quanto ancora la fortuna potrà essere dalla loro parte?
A questo primo capitolo ne seguono altri due, che ad una prima lettura potrebbero sembrare scollegati, ma che invece altro non sono che un cambio di prospettiva che permette alla storia di avanzare e farsi via via più drammatica, fino alla terza e ultima parte che chiuderà tutte le questioni aperte mettendo la parola fine alla storia.
I disegni
I disegni sono intuitivi, ma non tralasciano tanti dettagli che arricchiscono la scenografia o aiutano a contestualizzare l’ambientazione anche storica della vicenda. Ci sentiamo anche noi protagonisti delle serate di svago del Principe e insieme a lui passeggiamo per una Londra che nel suo torpore notturno nasconde inimmaginabili segreti.
In questa storia che fa delle emozioni un punto importante, la resa dei volti, semplice ma studiata, li trasforma in specchi dell’anima e ogni sentimento, ansia, sollievo, disperazione, paura, angoscia emergono attraverso una ricca serie di espressioni, che a volte si trasfigurano tanto da prendere dei connotati quasi demoniaci.
I colori sono protagonisti della storia tanto quanto i personaggi e quasi ne amplificano le emozioni: le emozioni positive e la spensieratezza creano immagini dai toni chiari, mentre l’ansia e l’angoscia generano spazi dai toni scuri, che incupiscono ancora di più l’atmosfera. Un gioco di chiari e scuri ben bilanciato che si raccorda con la storia.
La sceneggiatura
Prima di leggere il fumetto de Il Club dei Suicidi mi sono presa il tempo per rileggere il racconto originale di Stevenson, e devo ammettere che il testo e la narrazione in generale sono molto fedeli al loro modello di base, di cui rispettano anche il registro linguistico.
Anzi il fumetto, come tutte le “storie per immagini” ha il pregio dell’immediatezza comunicativa, le passioni, le ansie che traspaiono nel testo diventano nel disegno dirette e chiare. Così il rapporto tra i personaggi, le furberie di taluni o l’ingenuità di altri prendono forma in un piccolo gesto, in una smorfia, in un’espressione del volto anche solo accennata, che racconta ben altro.
Conclusione
Kleiner Flug con Il Club dei Suicidi dimostra quanto la narrativa classica possa essere fruibile al pubblico di oggi, soprattutto attraverso il moderno mezzo del fumetto, a riprova di quanto i classici abbiano ancora tanto da raccontare.
La grandezza di un classico è proprio questa, cambia medium ma continua a stupirci ed emozionarci.
Faccio parte di quella strana categoria di persone che, nonostante ci siano mille film da guardare, milioni di manga da leggere e trecento nuovi titoli di videogiochi, si fissa sempre sulle solite cose, per poi passare notti intere a rimettersi in pari con il mondo. Laureata in Lettere e in Editoria e Giornalismo, colleziono libri antichi in modo ossessivo, adoro piante e gatti e pratico judo da anni nella speranza di diventare, se non invincibile, almeno più saggia.
Alice in Borderland è serie originale Netflix giapponese basata sull’omonimo manga di Haru Aso. Dopo il successo della prima uscita, la seconda stagione è arrivata su Netflix nel dicembre 2022, per catapultare nuovamente gli spettatori tra i giochi mortali del Borderland, insieme ad Arisu e agli altri protagonisti della serie.
Tra nuovi game e momenti di introspezione
Per fare un veloce recap, Alice in Borderland segue la storia di un gruppo di ragazzi che si sono ritrovati catapultati in una versione distopica di Tokio, dove l’unico modo per sopravvivere è partecipare a giochi mortali la cui difficoltà è determinata da carte da gioco. Con la prima stagione i protagonisti erano riusciti a superare il gioco del 10 di cuori, che aveva creato qualche problema nell’oasi felice che i giocatori erano riusciti a ritagliarsi. È accaduto di tutto, c’erano katane, sparatorie, flashback, momenti di riflessione profondi, e Chishiya che si è improvvisato 5 minutes craft per dare fuoco a Niragi (Dori Sakurada).
Un finale che sicuramente lasciava ben sperare per questa seconda stagione, dove i protagonisti Ryōhei Arisu (Kento Yamazaki), Yuzuha Usagi (Tao Tsuchiya), Hikari Kuina (Aya Asahina) e Shuntarō Chishiya (Nijirō Murakami, per cui tantissimi fan sono diventati accaniti simp) devono superare i game delle figure, rimasti fino a quel momento avvolti dal mistero. La ripartenza non dà tregua ai personaggi, che dopo un breve momento di sollievo si trovano all’improvviso nel game del Re di Picche, dove il Re armato fino ai denti gioca al tiro al bersaglio con loro.
La seconda stagione punta, oltre che a esplorare nuovi game, ad approfondire ulteriormente i protagonisti, separandoli e dislocandoli in giro per Tokio, ognuno con uno scopo preciso in mente. Chi vuole trovare un senso, chi vuole scoprire cosa si cela dietro questi game, chi ancora piano piano sta cedendo e pensa che non sarebbe così male smettere di combattere e rimanere per sempre nel Borderland. Non c’è mai la reale preoccupazione che uno dei protagonisti venga trapassato da un laser, ma ugualmente lo spettatore può rimanere investito dalle situazioni in cui ognuno di loro si ritrova, domandandosi se sarebbe mai possibile sopravvivere a qualcosa di simile – la risposta è che forse noi saremmo morti nei primi minuti del game di Picche, perché non abbiamo la plot armor.
Modi diversi per arrivare alla stessa morale
All’interno della serie, Arisu, Usagi, Kuina e Chishiya sono sicuramente i personaggi più interessanti e quelli che vengono approfonditi di più. Arisu è il protagonista indiscusso dell’anime: partito come disoccupato senza prospettive, nel Borderland si ritrova spesso a essere il leader che trascina, motiva tutti a sopravvivere e trovare un senso nei giochi, dando speranza.
È lui Alice, deve trovare lui la soluzione finale per far uscire tutti dal Borderland e in questa seconda stagione diventa molto più consapevole del suo ruolo. Il suo legame con Usagi è la spinta definitiva che lo porta a perseguire questo obiettivo, anche se i dubbi sono dietro l’angolo. Dubbi che nutre anche Usagi stessa, che invece rappresenta il Coniglio Bianco, un po’ per il nome (Usagi significa letteralmente “coniglio”), ma soprattutto per il fatto che soprattutto in questa seconda stagione Arisu deve continuamente “inseguirla”, perdendola e ritrovandola nel Borderland, cercando di buttare giù il muro che Usagi si è costruita intorno.
Ad accompagnarli ci sono altri personaggi più o meno ricorrenti, alcuni dei quali si pensava fossero morti ma che scoprono all’ultimo di essere anche loro nel cast principale e quindi devono finire i giochi. Tirando le somme comunque, ogni personaggio risulta funzionale a un aspetto diverso della trama e del percorso di Arisu. Alcuni ci riescono in modo più incisivo, altri meno, ma arriva il momento in cui ognuno riesce ad avere un momento di gloria.
La serie ci presenta personaggi che pur incarnando archetipi riescono a risultare complessi e umani, con motivazioni e desideri comprensibili, anche se talvolta discutibili. La seconda stagione ne esplora l’evoluzione psicologica, mostrando come la pressione del gioco possa cambiare una persona e come queste esperienze possano influire sulle loro relazioni con gli altri.
Ogni personaggio diventa portatore di un determinato modo di pensare e reagire alle difficoltà che incontra nel Borderland. Kuina ad esempio, che per l’estetica un po’ ricorda il Brucaliffo, dopo essere scesa a patti col suo passato nella prima stagione, ora riflette sulla necessità di avere con sé compagni di viaggio fidati piuttosto che continuare da sola. Come lei, anche Chishiya intraprende un percorso isolato dal resto del gruppo, sfruttando la sua intelligenza per sopravvivere a game di Cuori e Denari. Nonostante lo scarso minutaggio, il personaggio di Chishiya è tra quelli che per i fan “buca lo schermo“.
Sguardo enigmatico e un po’ strafottente, arrogante e calcolatore (seppur edulcorato rispetto al manga), Chishiya è anche tendenzialmente annoiato e privo di spinte per dare un senso alla propria vita. Mentre Arisu all’interno del Borderline trova una ragione per continuare, Chishiya va ancora con l’auto-pilota, affronta i game ma non riesce a trovare una motivazione profonda. Rispetto alla prima stagione, da Stregatto che osserva la situazione dall’alto, lontano da tutti, in attesa di godersi il chaos che scaturisce da ogni gioco, poco a poco anche Chishiya rimane sempre più investito da Arisu. E alla fine diventa lui stesso protagonista di uno dei momenti più interessanti della stagione, dove comprende finalmente quel senso che gli sfuggiva e intravede la speranza di cui Arisu aveva sempre parlato sin dall’inizio.
Alice in Borderland: una sorta di Squid Game giapponese?
Qualcuno se l’è chiesto e la risposta a questa domanda molto probabilmente è: no. Per quanto entrambe le serie ruotino attorno a un gruppo di persone che, volenti o nolenti, si trovano costretti a partecipare a sfide mortali per sopravvivere, le due opere presentano importanti differenze che riflettono poi anche le culture da cui derivano.
Squid Game ha un’estetica, personaggi e tematiche molto diverse da Alice in Borderland, riprende temi sociali legati all’economia coreana che sono molto cari alle serie tv di questa nazione, e l’approfondimento dei personaggi viene affrontato in maniera diversa. Alice in Borderland è giapponese dall’inizio alla fine: si respira proprio l’atmosfera da anime (solo, in live action), cosa che non rende la serie meno seria e attuale, dal momento che offre anche più momenti di riflessione e introspezione dei personaggi rispetto a Squid Game.
Le due serie sono apprezzabili per ragioni diverse e sicuramente la popolarità di serie tv con tematiche distopiche e sociali ha aiutato entrambe a raggiungere la loro attuale popolarità nel pubblico di Netflix.
Alice in Borderland, la pecca è il finale lento
Anche questa seconda stagione gli autori hanno esplorato ogni tipologia di game (cuori, fiori, picche e denari) e lo hanno fatto rendendo ogni sfida unica e creativa, senza dimenticare la morale di fondo. Insomma, Alice in Borderland non si è fatta mancare di nuovo nulla: giochi ingegnosi, personaggi con incredibili plot armor, momenti romantici, epifanie e un tizio nudo. Un insieme di elementi che in realtà permette alla serie di passare da momenti assurdi e divertenti (per lo spettatore, per i personaggi che stanno per morire meno) a situazioni in cui ognuno si ferma per riflettere a fondo su ciò che rende davvero una vita degna di essere vissuta. Il tutto senza che le scene vengano tagliate con l’accetta, rendendo la visione fluida e mantenendo lo spettatore immerso nel Borderland.
Il difetto della seconda stagione non sono atmosfera o tematiche in sé, ma la velocità con cui viene affrontato il tutto. Se nella prima parte di Alice in Borderland tutto si sviluppa con un ritmo un po’ più incalzante, questa seconda stagione fa il contrario: parte con mitra spianato e tensione, per rallentare inesorabilmente sul finale. Il che può avere senso, dal momento che la storia volge poco a poco al suo termine, eppure non funziona del tutto. Negli ultimi episodi i momenti di introspezione e le scene di circostanza per dare una pausa tra i game vengono dilatati a volte in modo eccessivo. Arrivati sul finale sembra esserci un climax, ma viene tranciato da dialoghi che anziché mantenere il ritmo lo rallentano ulteriormente, facendo quasi arrancare uno dei game più importanti della serie.
Gli ultimi momenti nel Borderland non sono intrisi di adrenalina, ma di grandi riflessioni sull’amicizia e su ciò che davvero ci porta ad andare avanti ogni giorno. Pensieri e dialoghi che portano con sé una morale coerente con la storia e i suoi personaggi, ripercorrendo ciò che è accaduto dall’inizio e dando una chiusa alle sfide affrontate sino a quell’istante. Chi non è amante delle lunghe conversazioni sul senso della vita, però, è avvisato, perché come detto il ritmo cala vertiginosamente e gli appassionati dell’azione pura potrebbero non esserne felici. Viene da chiedersi se c’era un modo per bilanciare meglio lo “spiegone” finale e la tensione che prima di allora era stata centrale per la serie.
Tirando le somme comunque, Alice in Borderland rimane un’ottimo originale Netflix, che è riuscito a vedere la luce in fondo al tunnel delle serie cancellate senza ragione e ha trovato la sua conclusione, andando in pari con il manga. Consigliatissima è la visione in lingua originale con i sottotitoli (così potete simpare meglio per Chishiya) e Reddit aperto sul cellulare, perché tanti stanno ancora speculando su cosa dovrebbe rappresentare il Joker. Idee?
Mercoledì (Wednesday) è la nuova serie hit di Netflix firmata da Tim Burton, uno spin-off tutto dedicato al personaggio di Mercoledì Addams, interpretata da Jenna Ortega.
La serie esplora a fondo Mercoledì, ora cresciuta e alle prese con personaggi altrettanto fuori dall’ordinario. Perché si sa, essere adolescenti è maledettamente complicato, soprattutto quando i tuoi genitori decidono di mandarti in una scuola sperduta nel nulla solo perché hai fatto divorare un ragazzo dai piranha. Inaccettabile.
Mercoledì Addams interpretata da Jenna Ortega
Mercoledì è la primogenita di Morticia e Gomez Addams, coppia benestante dagli interessi “particolari”, e grazie all’iconica interpretazione di Christina Ricci tutti la ricordano per le sue trecce e il gusto per il macabro. Bambole decapitate, macheti per il compleanno, e quel cinismo di fondo hanno reso il personaggio di Mercoledì difficile da confondere con altri sullo schermo.
Christina Ricci non abbandona del tutto l’universo della famiglia Addams, perché nella serie torna a vestire i panni della Signorina Marilyn Thornill, prima docente “normale” di Nevermore, la scuola in cui Mercoledì viene mandata all’inizio della serie. Ricci passa così il testimone a Jenna Ortega, che mette in scena un’interpretazione tutto sommato fedele all’idea che abbiamo di Mercoledì: pallida, inespressiva e con lo sguardo penetrante. Così penetrante che Ortega nel corso della serie sbatte le palpebre solo una manciata di volte (qualcuno le ha contate), quando il personaggio si trova a provare più sentimenti del dovuto. Per il resto, Mercoledì rimane stoica, fredda, calcolatrice al limite dell’opportunismo.
A Mercoledì non importa dell’adolescenza, delle amicizie, o dell’essere come sua madre. Per questo quando i suoi genitori la spediscono a Nevermore non è per nulla entusiasta, salvo poi ricredersi quando capisce che qualcuno le dà la caccia per ucciderla, particolare che rende il tutto decisamente più divertente per lei. Perché la serie si basa su un mistero ben preciso: una serie di morti sospette provocate da un mostro di qualche tipo, che sembra volere qualcosa proprio da Mercoledì. La storia non è perciò il semplice susseguirsi delle giornate scolastiche, ma un giallo che la protagonista si trova a dover risolvere per scoprire qualcosa anche di sé stessa e del passato della sua famiglia.
Mercoledì vs la Famiglia Addams
Mercoledì si trova per la prima volta sullo schermo lontana dalla sua famiglia, a Nevermore, una scuola per ragazzi bizzarri ed emarginati. Una sorta di Hogwarts dalle tinte horror, con vampiri, sirene, gorgoni, lupi mannari, dove per ragioni di trama le lezioni sono poche e gli eventi extra-scolastici risultano all’ordine del giorno. In mezzo a questa serie di personaggi stravaganti, Mercoledì e le sue inquietanti premonizioni risultano la cosa più normale della scuola. Un’arma a doppio taglio per la serie, che rischia di inserire il personaggio in un mondo che le appartiene, ma che al tempo stesso la fa risaltare meno. Nonostante questo, Mercoledì diventa una mosca bianca anche a Nevermore, per via della sua stessa resistenza all’idea di uniformarsi alle regole della scuola e evitare di mettersi nei guai. Questo tentativo di rendere Mercoledì diversa in altro modo da un certo punto di vista è un buon espediente, d’altra parte non sempre funziona. Mercoledì come personaggio viene assorbito da Nevermore e ciò che rimane a volte sembra solo essere l’adolescente restia a trovare amicizie.
Quella che Mercoledì mette in atto infatti sembra una piena ribellione adolescenziale, contro Nevermore e prima di tutto contro i suoi genitori. È qui che si trova forse uno dei punti più deboli della serie: il rapporto tra Morticia (Catherine Zeta Jones), Gomez (Luis Guzmán) e Mercoledì stessa. Gli Addams mancano irrimediabilmente di chimica. Per quanto si sforzino e per quanto le loro battute facciano trapelare quell’idea di famiglia amorevole e comprensiva che incarnano, Morticia e Gomez non riescono a essere del tutto convincenti.
Anche la relazione oppositiva tra Mercoledì e Morticia manca di mordente, sembra non esserci un vero legame come accade invece quando la protagonista si relazione con personaggi come Enid, Tyler o la Preside Weems, per fare degli esempi. Certo, la famiglia Addams non compare in modo così esteso durante la stagione da fare di questa mancanza un problema insormontabile, ma nei momenti più fiacchi dei vari episodi ci sono loro. Un peccato, considerato che invece con Mano la protagonista riesce ad avere interazioni molto più interessanti e i due hanno un rapporto davvero stretto e convincente, nonostante uno dei due sia una mano incapace di parlare.
Un assortimento di personaggi di cui non ci si può fidare?
Mercoledì si ritrova a interagire, volente o nolente, con tutte le persone che bazzicano tra Nevermore e la città dei normali di Jericho, stringendo un rapporto particolare con Enid Sinclair (Emma Myers), lupo mannaro un po’ tardivo. Il rapporto con Enid è interessante, perché la ragazza è il completo opposto di Mercoledì. La stanza di dormitorio che condividono viene divisa al millimetro e l’entusiasmo di Enid sembra difficile da conciliare con l’anaffettività della protagonista, che rimane concentrata sul suo mistero da risolvere.
Questo è il modo in cui Mercoledì sembra voler interagire con chiunque. Di tutti i personaggi che passano sullo schermo, da Enid fino a Tyler, Xavier, Eugene, Bianca, e persino i suoi genitori, Mercoledì sembra voler fare del suo meglio per trattarli come strumenti utili ai fini della sua storia. La serie ci mostra più volte come Mercoledì non si fidi di nessuno e ogni personaggio diventa un sospettato da tenere d’occhio e di cui dubitare. Questo meccanismo a volte funziona, a volte no. Alcuni sospetti fanno dubitare anche allo spettatore, mentre in altri casi Mercoledì sembra giungere alla conclusione perché, a furia di accusare tutti, prima o poi arriva al colpevole.
Nonostante l’iniziale proposito di non legarsi a nessuno, la “morale” della serie è far capire come anche Mercoledì deve potersi affidare a qualcuno per risolvere il mistero. A modo suo, nel corso delle puntate, arriva quindi a dimostrare attaccamento e lealtà nei confronti dei suoi amici e mentori. Una parentesi qui va dedicata anche al rapporto tra Mercoledì e la Preside di Nevermore, Larissa Weems (Gwendoline Christie). La Preside riconosce il suo talento, anche se i guai che combina la ragazza non aiutano la reputazione della Scuola. Mercoledì, d’altro canto, abbraccia appieno la filosofia “non fidarti di nessuno” (le uniche eccezioni sembrano essere Enid e Eugene) ed è guardinga anche nei suoi confronti. Nel corso della serie sviluppano un rapporto madre-figlia che diventa quasi più convincente di quello tra la protagonista e Morticia.
Non tutte le relazioni però funzionano in modo impeccabile e alcuni personaggi ricorrenti mancano un po’ di spessore. La chimica, a differenza della famiglia Addams, risulta comunque migliore, anche se altalenante in alcune situazioni. Enid e Mercoledì sono certamente il duo che funziona meglio, completandosi a vicenda. Una coppia perfetta secondo alcuni (tanto che hanno già un nome: Wenclair), anche se il triangolo romantico della serie è tra Mercoledì, Xavier e Tyler. Xavier è uno studente di Nevermore, capace di dare vita ai suoi disegni, che Mercoledì aveva già incontrato in passato. Tyler invece è un “normie”, una persona comune che per una serie di ragioni si trova invischiato negli eventi della serie.
Entrambi rimangono stregati da Mercoledì, che sembra rimanere indifferente alle avance, concentrata sulla missione e sui segreti che nasconde Nevermore. E per quanto comunque le interazioni tra Mercoledì, Xavier e Tyler siano interessanti e ben costruite, viene difficile non pensare ai due ragazzi come completi sottoni.
Questo sembra essere un problema che diversi personaggi si trascinano per gli episodi a più riprese. Tutti sembrano stare con Mercoledì per ragioni imperscrutabili, visto che lei come detto tratta le persone tendenzialmente come se fossero rimpiazzabili. Senza fare troppi spoiler, ovviamente questa dinamica non dura per sempre e prima o poi Mercoledì si trova a prendere consapevolezza della cosa.
Cos’altro attende Mercoledì?
Mercoledì riesce a risolvere una parte del mistero anche grazie all’aiuto dei suoi nuovi compagni e a un certo punto quasi ci si aspetta che il colpevole urli “Maledetti ficcanaso!”, mentre qualcuno si mangia Scooby Snacks sullo sfondo. Perché alla fine il mistero è solo uno dei mezzi che la serie usa per veicolare il suo messaggio.
Mercoledì accetta il percorso che la porta a trovare nuovi amici, senza dover per questo diventare “normale” e rinunciare alla sua identità extra-ordinaria. La morale di fondo sembra voler trasmettere allo spettatore la consapevolezza che, quando si cercano compagni di avventura, è giusto farlo senza svendere la propria identità, trovando qualcuno che può accettarci per come siamo senza doverci uniformare a ciò che viene considerato normalità.
Tirando le somme, Mercoledì non è sicuramente la serie evento dell’anno, né quella meglio pensata in assoluto, ma è un buon prodotto di Netflix. Il personaggio iconico e l’estetica della serie hanno contribuito a renderlo infatti l’originale Netflix in lingua inglese più visto nella storia della piattaforma, superando anche Stranger Things.
Un ottimo risultato che fa sperare anche in un aumento del budget per gli effetti speciali, in alcuni casi un po’ carenti. Al di là di questo, Mercoledì rimane una serie capace di mischiare horror e comicità senza snaturare la protagonista. Intrattiene, è piacevole da guardare e, soprattutto per chi ama farlo, scorre liscia lisca in binge watching.
Samuel Stern 34 è il nuovo albo dell’omonima serie, edita da Bugs Comics, intitolata “I giostrai dell’apocalisse“. Un volume interessante che vi accompagnerà in questo mese.
Samuel Stern 34: la trama
La storia inizia con una premessa. Un gruppo di giostrai incontra Rayden, detto il divisore che affida loro un compito. Ossia un’apocalisse personale per Samuel Stern. I giostrai dichiarano di aver bisogno di un pubblico per poter innescare un’apocalisse; e così Rayden sceglie PadreDuncan, AngusDerryleng e PenelopeCampbell.
La nostra storia si sposta su Samuel ed Angus che ricevono un biglietto “Samuel Stern Magical Mystery Show” in “Iain Street Red Door”, una via inesistente. Vengono poi raggiunti da Penny e Padre Duncan, anche loro in possesso del medesimo biglietto.
Iniziano ad investigare sui biglietti finché Padre Duncan ricorda che Iain è il cognome di alcuni giostrai, gli stessi da cui Angus ha comprato il negozio…
Narrazione e disegni
La storia è stata scritta da Massimiliano Filadoro e Marco Savegnago non delude anzi riesce a catturare l’attenzione del lettore fin dalle prime tavole, molto rapide e dinamiche.
I disegni di Enrico Fregolent non sono da meno, anzi sorprendono con soluzioni davvero suggestive e vignette al vivo che lasciano a bocca aperta.
Conclusione
Samuel Stern 34 è un albo che ho letteralmente divorato, risoluta molto scorrevole e veloce. La trama riesce a catturare l’attenzione fin da subito e gli sviluppi appassionano il lettore che “corre” per arrivare al finale.
La conclusione non mi è dispiaciuta affatto, anzi lo trovata alquanto interessante sotto diversi punti di vista, ma lascio a voi il giudizio!
Se vi siete persi la precedente recensione leggetela qui.