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È tutta una questione di “Nerve”

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Ciao ragazzi sono mattia, sono tornato e oggi vi parlerò di Nerve, film uscito un po’ in sordina nel 2016. Ve lo ricordate il drammatico gioco online “blue whale”? Quello che creava tantissime vittime nel mondo?

Bene, in Nerve, sulla falsariga del precedente articolo sul lungometraggio targato Amazon Guns Akimbo, ritroviamo alcune analogie. Ma in questo caso i registi hanno privilegiato una regia distopica tutta al neon, dove abbondano i blu, gli arancioni e i viola. Ma di cosa parla Nerve, vi chiederete? E perché rimane tutt’ora attuale, dopo tre anni dall’uscita?

La Trama

Stanca di fare la studentessa modello, Vee (interpretata da Emma Roberts) si iscrive al gioco online Nerve, che consiste nell’affrontare sfide sempre più rischiose e reali, mentre una folla di gente sta a guardare dal proprio smartphone le peripezie delle incoscienti vittime facendo da spettatore. In questa situazione assurda Vee conosce l’ambiguo Ian (Dave Franco, fratello del più Celebre James) un po’ alleato e un po’ antagonista.

Nel corso di una notte i due tenteranno la sorte ma il gioco si farà sempre più duro tanto da rischiare di perdere il controllo della situazione.

La Recensione

Thriller tecnologico pensato soprattutto per un pubblico di giovani adulti, nerve è incentrato sulle derive di un cattivo utilizzo del web, o meglio del dark web, con tutti i suoi potenziali pericoli. Nerve, insomma, non vuole essere solo uno scatenato “tutto in una notte” ma anche un film di denuncia sociale che faccia pensare, però a giudicare dal contenuto viene da pensare prima di tutto che forse la sceneggiatrice Jessica Sharzer non ha ben chiara l’idea di come funzionino davvero la rete e le sue dinamiche.

Dall’uso degli smartphone fino alla comparsa di un gruppo hacker improbabile non c’è un dettaglio relativo alla tecnologia o internet che siano figlio di una reale osservazione. Sorprende un po’ ma neanche troppo che dietro la macchina da presa in Nerve ci siano Ariel Ahulman e Henry Joost, gli stessi di Catfish un documentario incentrato proprio su alcune dinamiche relazionali e legate all’anonimato della rete, di cui si era molto parlato e che non incorreva sicuramente negli stessi peccati di superficialità presenti invece in questo film.

Ma quello che realmente vorrei è che guardando questo film, gli spettatori provassero a discutere di un fenomeno allarmante del nostro tempo. Le persone sono sempre meno avvezze a confrontarsi con la vita reale cruda e dura. Il gioco della vita ci propone la scelta tra Player e Watcher, vuoi entrare nel grande gioco o vuoi solo restare lì a guardare?

Dunque mi auguro e spero che il popolo del web o dark web che dir si voglia, si renda conto che è tutta una gran finzione. Facebook, Twitter, Whatsapp, Instagram sono tutta una tragica pantomima messa in scena da una comunità di ragazzi e ragazze anonimi che rischiano di non scoprire mai il proprio vero volto, che preferisco rimanere nell’ombra catodica e internettiana, piuttosto che accettare la loro sfida, vivere.

Mattia Canino



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