Se non avete sentito parlare di Bridgerton probabilmente siete rimasti senza connessione internet a casa fino a questo momento. Bridgerton è la serie Netflix del momento – è disponibile sulla piattaforma dal 25 dicembre 2020 – e si basa sul primo della serie di nove romanzi scritti da Julia Quinn, nome d’arte di Julie Cotler.
Ognuno dei libri è incentrato su un membro diverso della famiglia Bridgerton e sulla loro ricerca del vero amore. Tutto viene condito dal commento e dalla narrazione ironica e dalla penna tagliente di Lady Whistledown, una misteriosa dama autrice di alcuni fogli scandalistici che tengono col fiato sospeso tutta l’aristocrazia di Londra.
La serie è stata ideata da Chris Van Dusen ed è prodotta da Shonda Rhimes. Entrambi hanno lavorato ad altri prodotti di successo come Scandal, Private Practice e, soprattutto, Grey’s Anatomy.
C’è chi l’ha amata e chi l’ha odiata. Chi ha gridato al capolavoro, chi l’ha reputata un grosso ‘meh’ e chi, invece, ha quasi urlato ad un presunto scandalo da eccessivo ‘politically correct‘. Volete sapere perchè? Allora vi conviene proseguire nella lettura.
Bridgerton: di cosa parlano i romanzi e la serie?
Come abbiamo accennato, Bridgerton è una collana di romanzi (nove in totale) scritti tra il 2000 e il 2013 dall’autrice statunitense Julia Quinn. La serie è incentrata sulle vicende e sui personaggi che ruotano attorno ai Bridgerton, appunto, una famiglia dell’alta borghesia londinese. Il primo romanzo, a cui si ispira la prima stagione della serie, è ambientato nel 1813, curiosamente lo stesso anno di pubblicazione di Orgoglio e Pregiudizio. Protagonista indiscussa della serie è Daphne Bridgerton, la sorella maggiore. La storia narrata è quella della relazione tra lei e il neo Duca di Hastings Simon Basset.
La prima stagione, in sintesi
Come già anticipato, la serie è ambientata nel 1813 quando, sul trono d’Inghilterra, siede la Regina Charlotte, reggente per conto del marito George che soffre di infermità mentale. Siamo agli albori della nuova stagione di eventi sociali inaugurata, come sempre, dal debutto in società delle giovani donne dell’alta borghesia londinese. Tra di esse, Daphne Bridgerton che si assicura il favore della regina Charlotte e si guadagna dunque il nomignolo di “Diamante della Stagione” e uno stuolo di corteggiatori.
Nel frattempo, Simon Basset, da poco investito del titolo di Duca di Hastings a causa della morte del padre, fa ritorno a Londra in visita all’anziana mentore Lady Danbury, donna ben inserita nei ranghi della nobiltà e dell’alta borghesia di Londra. Simon è anche un vecchio amico di Anthony, fratello maggiore di Daphne.
Pochi giorni dopo, la famiglia Featherington, dirimpettaia dei Bridgerton, accoglie in casa Marina Thompson, lontana cugina del capo famiglia. Anche lei, come le tre cugine, e Daphne, è alla ricerca di un pretendente degno di condurla all’altare.
Alla narrazione si affianca il tagliente commento di Lady Whistledown, una specie di misteriosa Gossip Girl ante-litteram. La donna, autrice di alcuni fogli di stampo scandalistico distribuiti in tutta Londra, sembra essere molto bene informata sui pettegolezzi grandi e piccoli che riguardano i protagonisti. L’operato della donna cattura l’interesse dell’aristocrazia e, in particolare, la regina Charlotte sembra essere una assidua lettrice dei fogli da lei redatti.
Nel corso delle otto puntate che compongono la stagione (ognuna della durata di un’ora) si dipanano i rapporti tra protagonisti e comprimari. La prima stagione, in particolare, è incentrata sul rapporto conflittuale tra Daphne e Simon.
Cast: i protagonisti e i gregari della serie
Chi compone il cast di Bridgerton? Partiamo immediatamente dai membri principali della serie: Daphne è interpretata da Phoebe Dynevore. Il ruolo di Simon, invece, è stato affidato a Regé Jean-Page. A Golda Rosheuvel è invece andato il ruolo della regina Charlotte. La scelta della talentuosa attrice britannica ha scatenato le ire di alcuni spettatori. Secondo questi ultimi, il fatto che ad interpretare la reggente al trono sia un’attrice di colore è sintomo di ‘eccessivo politically correct’.
Lady Danbury, la mentore di Simon, è interpretata invece da Andjoa Andoh. L’attrice ha spesso calcato i palcoscenici britannici ed è un voto noto della tv inglese avendo partecipato a serie di successo come Doctor Whoe Casualty. Al cinema, invece, è stata al fianco di Morgan Freeman/Nelson Mandela in Invictus.
Passiamo ora ai comprimari Anthony (Jonathan Bailey) è il maggiore dei fratelli Bridgerton e ha ereditato dal defunto padre il titolo di Visconte. Benedict (Luke Thompson) è il secondogenito. Seguono Colin (Luke Newton), Eloise (Claudia Jessie), Francesca (Ruby Stokes), Gregory (Will Tilston) e Hyacinth (Florence Hunt). Chiude il clan Bridgerton la madre, Violet (Ruth Gemmell).
Passiamo ora ai Featherington. I coniugi Archibald (Ben Miller) e Portia (Polly Walker). Le figlie: Prudence (Bessie Carter), Philippa (Harriett Cains) e Penelope (Nicola Coughlan), quest’ultima grande amica di Eloise. Completa la famiglia, Marina Thompson (Ruby Barker).
Bridgerton: la nostra opinione – i pregi
Specifichiamolo immediatamente, così mettiamo subito i forconi infuocati in mano ai puristi: abbiamo visto la serie con doppiaggio italiano. Niente sottotitoli, niente lingua originale. Siamo aperti però al dialogo e al confronto. Se avete visto la serie in lingua originale e avete apprezzato un qualche aspetto che a noi può essere sfuggito, saremo lieti di ascoltarvi.
Ci tocca specificare, inoltre, un secondo punto. Ci siamo approcciati alla serie con la consapevolezza di trovarci dinanzi ad un prodotto pseudo-trash e consapevole di esserlo. La descrizione data nel titolo (Jane Austen incontra Gossip Girl) non è nostra ma è proprio quella fornita dalla stessa Netflix ed è proprio con questo filtro che Bridgerton chiede di essere guardata.
Sebbene l’impostazione della trama sia abbastanza classica – se avete letto Orgoglio e Pregiudizio, Daphne e Simon ricorderanno molto da vicino Elizabeth e Darcy – l’intreccio riesce a incollare sulla poltrona per tutta la durata della serie.
Tra le interpretazioni che maggiormente ci hanno colpito ne vorremmo segnalare quattro in particolare, tutta molto convincenti a nostro avviso. Regé Jean-Page (Simon) ma con qualche riserva, Andjoa Andoh (Lady Danbury), Golda Rosheuvel (Queen Charlotte) e Ruth Gemmell (Violet Bridgerton) hanno rappresentato per noi le prove attoriali più convincenti.
In merito alla regia, non possiamo certo dire brilli di estro creativo o scelte azzardate. Ogni episodio, infatti, vede una personalità diversa dietro la macchina da presa. Ma il lavoro è stato fatto con buon mestiere e la grammatica cinematografica è rispettata senza mai far storcere il naso se non in un paio di inquadrature al massimo in tutta la stagione.
Posto speciale, invece, ci teniamo a riservarlo alla musica. L’arrangiamento, secondo gli stili del 1813, di brani come Bad Guy di Billie Eilish o Girl Like You dei Maroon 5 è, forse, tra le cifre stilistiche che più abbiamo apprezzato della serie.
Bridgerton: la nostra opinione – i difetti
Quei pochi difetti trovati sono, per lo più, legati alla trama della serie e ad alcune prove attoriali non del tutto convincenti. Partiamo proprio da quest’ultima voce, a nostro avviso la più grave.
A soffrire maggiormente la cinepresa sembrano essere i personaggi di Marina, Peneolpe e Colin. Chiariamoci: il problema non è tanto la prova attoriale dei rispettivi interpreti. Ognuno di loro, infatti, rimane coerente rispetto al vissuto del personaggio nel contesto cui è inserito. Ma, quest’ancora di salvezza sembra essere offerta effettivamente solo alla prova attoriale di Ruby Barker. Marina, infatti, vede giustificata ogni sua azione come vittima degli eventi e come prima vittima e poi aspirante artefice del suo proprio destino. Specularmente opposto il personaggio di Penelope, curiosamente il più legato a Marina e con Colin finirà con l’inaugurare un triangolo insoluto.
Nicola Coughlan offre una interpretazione a tratti al limite del macchiettistico, con timidezza e imbarazzo decisamente posticci agli occhi dello spettatore. Senza infamia e senza lode la prestazione di Luke Newton, visibilmente a disagio nel ruolo di Colin. Evidentemente gli occhi da pesce lesso si sposano bene con le labbra a ‘bocca di trota’.
In questo stesso ambito è bene segnalare alcune interpretazioni che, sebbene non disastrose, hanno entusiasmato meno rispetto ad altre. Claudia Jessie, nel ruolo di Eloise rimane interessante, con una certa coerenza interna fino alla fine ma, a tratti anche lei presenta dei cenni fin troppo macchiettistici o ‘da manuale’ di scrittura. Si salva in corner anche il ruolo di Portia Featherington alias Polly Walker. Il suo personaggio, sebbene non centrale, presenta tutta la sua complessità in maniera egregia soprattutto negli ultimi episodi.
Chiude questo paragrafo, come già anticipato prima, una regia fin troppo piatta e manualistica. Certo, non ci si poteva aspettare maggiormente da un prodotto che, fin da principio, fa intendere di non voler essere preso troppo sul serio. Diciamo che i vari registi hanno fatto il loro lavoro senza osare oltre. La risoluzione finale delle varie linee narrative, inoltre, non può che essere imputata esclusivamente all’autrice dei romanzi originali. Gli autori della serie si sono preoccupati di riprodurli a schermo.
Bridgerton: la nostra opinione – critiche giuste o ingiuste?
Fin dal cast reveal e dopo l’approdo su Netflix avvenuto il 25 dicembre, Bridgerton è stato sommerso di pesanti critiche. Secondo molti, vedere persone di colore inserite nell’alta borghesia, fino alla corona, inglese di inizio diciannovesimo secolo è stata una forzatura fatta in nome del politically correct.
Sebbene da un lato potremmo anche comprendere tali critiche, non ci sentiamo di condividerle per diverse e giustificate ragioni che elencheremo di seguito. Fin dal momento in cui abbiamo premuto sul pulsante Play della piattaforma di streaming ci siamo messi davanti allo schermo consapevoli che non avremmo assistito ad un dramma storico ma ad un prodotto che ha il suo fulcro nel sentimentalismo tipico dei romanzi di Jane Austen e nell’interpretazione a schermo degli stati d’animo dei personaggi.
Grazie a questa consapevolezza, o forse per indole, non ci siamo affatto curati del colore della pelle di quello o quell’altro personaggio. La loro prova attoriale è stata più che convincente e tanto è bastato per farceli piacere.
Chi si lamenta del fatto che la regina Charlotte fosse bianca e non nera si sarà lamentato allo stesso modo che le musiche che accompagnavano i balli della serie siano state composte oltre 200 anni dopo i fatti narrati? Noi non lo crediamo.
C’è, però, una nota stonata in tutto ciò. Una frase che ci ha quasi costretti a far caso alla multietnicità del cast. Tale frase rappresenta un classico esempio di ‘Too Much Information’ non richiesto che ha interrotto la nostra sospensione dell’incredulità, come se fossero delle scuse anticipate e maldestre rivolte a chi poi determinate critiche alla serie le ha effettivamente mosse. L’ingrato compito è affidato a Lady Danbury nei primi episodi ma non andremo oltre. Ogni cosa potrebbe essere spoiler.
In conclusione
In definitiva, consigliamo Bridgerton? Dipende. Siete alla ricerca di un dramma sentimentale con cui svagarvi per una durata totale di 8 ore? Allora sì. Assolutamente.
Siete alla ricerca di un prodotto impegnato e che contenga al suo interno la verità storica? Forse è meglio cercare qualche lezione di Alessandro Barbero su YouTube.
Empire Of Shit: È italiano il nuovo film in collaborazione con il mangaka Shintaro Kago, autore di “Principessa del castello senza fine”, “Fraction”, ”Anamorphosys” e tanti altri titoli cult per i fan del genere.
Il regista infatti è Alessio Martino: Salerno, classe ‘2000, laureando in Cinematografia presso l’accademia delle Belle Arti di Napoli.
Questa storia inizia nel 2021, quando Kago e Martino incrociarono le loro strade grazie alla partecipazione di quest’ultimo al Contest Cinematografico Unco Film Festival, in cui il famoso mangaka partecipava in qualità di organizzatore e giudice. Martino presentò allora il suo corto “Brief Clisterization of Ideology”, ambientato in un mondo distopico, con la quale si aggiudicò il secondo posto.
Un anno dopo, nel 2022, Martino partecipò nuovamente al concorso con il film “The Formidable Wave that Destroyed and Recreate the World”, aggiudicandosi questa volta il primo premio: la merda d’oro.
Vi è infatti un tema comune in queste opere: la merda. Ed è infatti da questa idea, che Martino presentò a Kago nel 2023, che nasce The Empire of Shit.
La trama è apparentemente molto semplice:
Una giovane donna desidera che le sue feci abbiano un profumo gradevole, e il suo desiderio si avvera. Questo scatena la cupidigia del suo fidanzato, che vede un’opportunità di lucro in questa straordinaria qualità, trasformando una situazione intima in un’impresa commerciale bizzarra e surreale. Ci sarà però un’escalation di eventi, che porterà ad un finale inaspettato. Se tutto ciò vi ha incuriosito: non sentitevi soli, anche noi vorremmo sapere di più su cosa aspettarci, e proprio mossi da questa curiosità, abbiamo intervistato Alessio Martino, il regista di Empire of Shit.
Ciao Alessio, innanzitutto grazie per averci concesso questa intervista, perdonami ma la peculiarità del progetto mi porta a saltare alcune domande di rito e passare direttamente a questa:
Perché la Merda?
Ed è questa la domanda che ogni autore vorrebbe sentirsi porre. Scherzi a parte, sia io che Kago abbiamo molto a cuore il tema della merda perché nessuno gli dà il giusto peso. Che sia una commedia o uno Splatter la merda finisce sempre per essere del grottesco fine a se stesso ma fermandoci a riflettere sopra la materia di scarto ci si può trovare una grande fonte di riflessione.
Qual è il processo creativo dietro le scelte più audaci, sia visivamente che a livello narrativo?
Il divertimento. Quando il progetto è nato c’era una sola idea chiara in ballo: un Gojira fatto di cacca. Questo è uno di quei progetti dove il perno centrale su cui tutta questa macchina deve muoversi è proprio il divertimento. Dai costumi alla recitazione, tutto deve essere motivato dalla voglia di sperimentare e divertirsi su qualcosa che non si prenderà mai abbastanza sul serio… e forse proprio per questo sarà molto più seria di quanto essa stessa crede.
Hai lanciato una campagna indiegogo per finanziare questo progetto: qual è il tuo end-goal?
Prendere i soldi e scappar… cioè! volevo dire, realizzare un lungometraggio. Anche se sembra un’impresa titanica il goal finale sarebbe quello di poter estendere la durata del film al punto tale da darle un corpo vero, e con esso verrebbero tutte quelle fantastiche chicche in più, come la storia manga prequel disegnata da Kago
Come hai attirato l’attenzione del Maestro Kago?
Ma, di per sé è stato un evento molto organico. Ero a Lucca Comics per girare un documentario, lui era lì come ospite e gli ho semplicemente chiesto di prenderci una birra insieme (le birre alla fine furono molto più di una). Da lì Kago mi ha dichiarato tutto il suo interesse nel voler dedicarsi da anni ad un progetto cinematografico senza avere però mai il tempo per poterlo fare effettivamente. E da quì è arrivata la mia proposta…
Quanto influisce la presenza del mangaka sulla produzione del film?
Tantissimo. Sotto ogni aspetto. Il progetto senza di lui non esisterebbe proprio. Tutto l’aspetto visivo della fabbrica, dei mostri (Coff, coff… scusatemi per lo spoiler), della palette cromatica e del taglio narrativo è tutto frutto della sua vena artistica che noi come troupe stiamo concretizzando.
Che emozioni pensi scaturirà il tuo corto nel pubblico?
Così come ti dicevo riguardo il processo creativo, io spero diverta. Spero davvero che lo spettatore si senta annichilito da tutta la follia che gli verrà tirata addosso e che l’unica cosa sensata che si senta di fare sia ridere. Se poi restassero shockati e traumatizzati al punto tale da volerci denunciare, beh se la vedranno con i legali miei e di Kago!!
Posso avere anche io dei gadget?
No. Scherzo! Se la campagna supererà il goal base, ci saranno belle sorprese per tutti i donatori, ma non posso dire altro ora.
Ti ringrazio nuovamente per averci dedicato del tempo parlandoci del tuo progetto.
Ma grazie a te per avermi dedicato il tuo. E come dice la nostra mascotte Mr. Unkoman: “Unko! Unko! Unko!”.
Cari lettori, non sappiamo esattamente cosa aspettarci, ma l’hype c’è, e sicuramente ciò che fa più piacere è vedere un talento emergente nostrano mettersi in gioco.
Potete anche voi finanziare questo progetto tramite la campagna indiegogo!
Il documentario Il Padiglione sull’Acqua è un viaggio, estetico e poetico, nell’immaginario dell’architetto veneziano Carlo Scarpa e nella sua passione per la cultura giapponese. Il Giappone rappresentò per l’architetto un universo ispirazionale ma fu anche il luogo dove egli morì, nel 1978, all’apice della sua carriera, ripercorrendo misteriosamente i tragitti del poeta errante Matsuo Bashō.
Attraverso le impressioni suggerite dal filosofo giapponese Ryosuke Ōhashi, la narrazione si sviluppa lungo il filo di una domanda, la domanda sul senso della bellezza. La possibilità̀ di questa riflessione accomuna qui le opere scarpiane e l’estetica tradizionale giapponese. Venezia, nella veste di porta verso l’Oriente e luogo di nascita di Scarpa, e l’esplorazione incantata delle sue opere, sono l’occasione per rievocare la poetica ed episodi emblematici della vita dell’architetto.
Essi sono restituiti attraverso le parole del figlio Tobia, dagli allievi Guido Pietropoli, Giovanni Soccol e Guido Guidi, e dal ricercatore J.K. Mauro Pierconti. Un sentimento di nostalgia colora tutta la narrazione. Una nostalgia per quell’evento raro che è la nascita di un artista. Seppur ora abbia abbandonato questa terra, lascia in dono le sue opere e la meraviglia che esse tuttora suscitano.
Carlo Scarpa il Giappone
Carlo Scarpa amava definirsi «bizantino nel cuore, un europeo che salpa per l’Oriente» e proprio come l’artista veneziano, Stefano Croci e Silvia Siberini viaggiano attraverso le ispirazioni nipponiche che lo hanno guidato nella sua costante ricerca del senso della bellezza.
Per farlo, in Il padiglione sull’acqua si fanno guidare dalle ispirazioni del filosofo Ryōsuke Ōhashi e dalle testimonianze del figlio Tobia Scarpa, degli allievi Guido Pietropoli, Giovanni Soccol e Guido Guidi, del ricercatore J.K. Mauro Pierconti, degli artigiani Paolo e Francesco Zonon e della maestra di ikebana Shuho Hananofu.
Nel 1978 Carlo Scarpa tornò in Giappone. Nessuno sa con precisione quali fossero i suoi intenti. Il celebre architetto giapponese Arata Izosaki ha ipotizzato che stesse ripercorrendo le stesse tappe del poeta errante Matsuo Bashō, riportate nel diario di viaggio Lo stretto sentiero verso il profondo nord, ma purtroppo morì a seguito di una tragica caduta e non raggiunse mai la meta anelata.
Lasciò incompiute delle opere, che lo resero ancora più celebre, come il Memoriale Brion a San Vito di Altivole in provincia di Treviso, scelto anche da Denis Villeneuve tra le location del prossimo capitolo di Dune.
Apple TV+ ha svelato il trailer di “Constellation”, il nuovo thriller psicologico composto da otto episodi intepretato da Noomi Rapace (“Millennium – Uomini che odiano le donne”, “Non sarai sola”, “Lamb”, “Seven Sisters”) e dal candidato all’Emmy Jonathan Banks (“Breaking Bad”, “Better Call Saul”). La serie farà il suo debutto su Apple TV+ il 21 febbraio con i primi tre episodi seguiti da un episodio a settimana, fino al 27 marzo.
Creata e scritta da Peter Harness (“Il commissario Wallander”, “The War of the Worlds”), “Constellation” ha come protagonista Noomi Rapace nel ruolo di Jo, un’astronauta che torna sulla Terra dopo un disastro nello spazio e scopre che alcuni pezzi fondamentali della sua vita sembrano essere scomparsi. La serie è un’avventura spaziale ricca di azione che esplora i lati più oscuri della psicologia umana e segue la disperata ricerca di una donna nel tentativo di svelare la verità sulla storia dei viaggi spaziali e di recuperare tutto ciò che ha perso.
Cast Constellation
Nel cast della serie figurano anche James D’Arcy (“Agent Carter”, “Oppenheimer”), Julian Looman (“Emily in Paris”, “Mallorca Crime”), William Catlett (“A Thousand and One”, “Coppia diabolica”), Barbara Sukowa (“Passioni violente”, “Hannah Arendt”) e con la partecipazione di Rosie e Davina Coleman nel ruolo di Alice. Diretta dalla vincitrice del premio Emmy Michelle MacLaren (“Shining Girls”, “The Morning Show”, “Breaking Bad”), dal candidato all’Oscar® Oliver Hirschbiegel (“La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler”, “The Experiment – Cercasi cavie umane”) e dal candidato all’Oscar® Joseph Cedar (“Footnote”, “Our Boys”).
Produzione
Prodotta da Turbine Studios e Haut et Court TV, “Constellation” è prodotta esecutivamente da David Tanner (“Small Axe”), Tracey Scoffield (“Small Axe”), Caroline Benjo (“No Man’s Land”), Simon Arnal (“No Man’s Land”), Carole Scotta (“No Man’s Land”) e Justin Thomson (“Liaison”). MacLaren dirige i primi due episodi ed è produttrice esecutiva insieme a Rebecca Hobbs (“Shining Girls”) e al co-produttore esecutivo Jahan Lopes per conto della MacLaren Entertainment. Harness è produttore esecutivo attraverso la Haunted Barn Ltd. La serie è stata girata principalmente in Germania ed è stata prodotta da Daniel Hetzer (“Monaco – Sull’orlo della guerra”) per Turbine Studios, Germania.