Arcane: 5 ragioni per cui è una serie da dieci e lode
Arcane, serie d’animazione di Riot Games e Netflix, è diventata una delle più apprezzate della piattaforma di streaming, superando titoli già amati dal pubblico come Squid Game.
Arcane, serie d’animazione di Riot Games e Netflix, è diventata uno dei titoli più apprezzati della piattaforma di streaming, superando titoli già amati dal pubblico come Squid Game. La serie è basata sull’universo videoludico di League of Legends, ma Arcane è stata apprezzata anche da chi non era già fan del videogame che ha ispirato tutto.
Arcane, una serie anche per chi non conosce il videogioco
League of Legends(LOL) è universalmente riconosciuto come uno dei videogame più famosi e apprezzati, con un pubblico di videogiocatori vastissimo, ma non solo: l’universo espanso di LOL negli anni ha approfondito la storia dei suoi campioni giocabili, attirando l’attenzione anche di chi non era interessato all’aspetto videoludico.
Con Arcane, Riot Games è riuscita a superarsi e appassionare anche quella fetta di pubblico che non era a conoscenza della lore dell’universo di LOL. Una simile mossa era tutt’altro che scontata: con 157 campioni all’attivo e altrettante storie da raccontare, il pericolo di creare un prodotto confuso con rimandi poco chiari all’opera originale era dietro l’angolo.
Eppure, anche se ogni personaggio ha una sua personale sotto-trama, Arcane riesce a sviluppare e collegare ogni storia in una rete di eventi che rimangono sempre ben chiari allo spettatore. Persone che non hanno mai giocato a LOL possono apprezzare lo show e comprendere le dinamiche tra i personaggi e anzi, vivendo appieno l’esperienza, senza conoscenze pregresse sulla lore che possono influenzare le loro aspettative sullo svolgimento della storia.
Ovviamente, all’interno dello show non mancano richiami ed easter eggs che possono essere colti da chi già seguiva questo universo attraverso il videogame, riuscendo a strizzare l’occhio ai fan più affiatati. Ma lo show fa tutto questo senza “punire” lo spettatore che invece si approccia alla serie senza conoscere la lore da cui deriva e questo rende Arcane pienamente apprezzabile da tutti.
L’eterna lotta tra opposti
Arcane si sviluppa partendo da stereotipi e archetipi già visti e rivisti in show di ogni tipo, ma riesce comunque a far risultare il tutto originale. Questo è possibile grazie alla splendida cura nei dettagli che rende anche il più scontato dei cliché un risvolto di trama apprezzabile fino in fondo, con animazioni, colonna sonora e dialoghi che si incastrano perfettamente insieme.
Il filo rosso che collega personaggi e vicende è il concetto stesso di dicotomia, presente in ogni momento di Arcane. La dicotomia è il tema sottostante ogni interazione della serie, a partire dalla relazione tra le due città che fanno da sfondo alla vicenda, Piltover e Zaun. Piltover, ricca città di commercianti e innovatori, è infatti in perenne contrasto con Zaun, città dimenticata e sommersa da fumi tossici.
In contrasto è anche la scienza che si sviluppa di pari passo in entrambe le città, ma in due direzioni (apparentemente) opposte: mentre l’Hextech vuole permettere di imbrigliare la magia e portare innovazione e benessere, lo Shimmer di Singed, commercializzato dall’industriale Silco, porta invece con sé potere, ma anche dipendenza e oscurità. In entrambi i casi però, le due città si trovano nella situazione di dover sopravvivere alla corruzione di chi vorrebbe usare queste tecnologie per distruggere e non per elevare e salvare le persone che lì abitano.
Opposti che poi così opposti non sono: due facce della stessa medaglia, piuttosto, due città che puntano entrambe alla grandezza ma rischiano, in modi diversi ma non troppo, di cadere nell’oscurità e nella corruzione, abbandonandosi ad un progresso che porta vantaggio solo a pochi.
Persino lo stile di animazione, che ricorda la sperimentazione artistica avviata daSpiderman-Man Into the Spiderverse, accompagna perfettamente questa narrazione. Con giochi di luci e ombre, palette di colori che variano a seconda della situazione e fondali che si sposano perfettamente con la vicenda. Piltover viene dipinta come luogo degli intrighi e dei compromessi politici, in un ambiente steampunk pulito e luccicante, faro dell’innovazione dell’universo di Runeterra. Zaun, invece, è come immersa in una notte eterna, trasandata e cupa, così come i personaggi legati al villain principale.
Questa dicotomia viene ripresa anche nello sviluppo delle relazioni tra i vari personaggi. Vi e Jinx, le due protagoniste di fatto della serie, ne sono un esempio, ma ogni personaggio in realtà è legato a filo doppio ad altri e ognuno rappresenta spesso un punto di vista differente della stessa storia.
Un viaggio alla ricerca di sé stessi
Arcane inizia con quel vibe da avventura per ragazzi, con i ragazzi di Zaun che corrono sui tetti organizzando rapine nelle case dei benestanti di Piltover e affrontando gruppi rivali quando oltrepassano nel loro territorio. L’atmosfera quasi leggera dura però poco, perché ben presto la storia si rivela per ciò che è: un racconto duro e drammatico di una città spaccata in due. Quella che parte come la storia di un gruppo di ragazzini che cercano di sconfiggere un villain misterioso finisce in una spirale in cui, nel giro di pochi istanti sapientemente gestiti da una regia straordinaria, tutto va a rotoli e la situazione precipita, causando un taglio netto per i personaggi coinvolti.
Da quel momento, niente è più lo stesso. Di nuovo, anche in questo caso Arcane si ricollega a trame già viste, ma riesce a farlo con una grande cura per i dettagli. Tutti sono alla ricerca di sé stessi, di un gruppo in cui possano ritrovare un senso di appartenenza famigliare e del potere per far svoltare le proprie vite in meglio.
Ma anche qui Arcane mostra come ciascuno dei campioni sia in realtà la rappresentazione di un punto di vista diverso delle stesse tematiche. Jayce e Viktor sono entrambi brillanti scienziati alla ricerca del progresso, ma mentre Viktor ricerca l’innovazione per rivoluzionare il mondo e aiutare gli abitanti dimenticati di Zaun e il suo stesso corpo, indebolito dai fumi tossici della sua città natale, Jayce si scontra con gli intrecci diplomatici e i fini giochi di potere che regolano la vita di Piltover, dominata da un consiglio di uomini e donne che cercano, prima che il benessere di tutti, quello per sé stessi. Vander e Silco volevano entrambi il benessere di Zaun, ma dove Vander cerca di mantenere un equilibrio tra Zaun e Piltover con saggezza, Silco cerca il riconoscimento, l’onore e il potere, anche a costo di ricorrere alla forza o di rendere gli stessi abitanti di Zaun dipendenti dallo Shimmer.
E gli incontri e scontri tra i personaggi di Arcane non finiscono qui, sono diversi e multiformi e alcuni di questi vivono all’interno dello stesso personaggio, come nel caso di Powder/Jinx.
Il campione più folle con la backstory più tragica
La storia si concentra suVi e Powder, due sorelle di Zaun rimaste orfane di genitori e cresciute da Vander, il leader saggio e giusto che guida la città dimenticata dai ricchi di Piltover. In particolare, la trama racconta il percorso che porterà Powder, ragazzina traumatizzata dal suo passato tragico, a diventare Jinx, conosciuta dai fan del videogame come pura manifestazione del chaos.
Tuttavia, se nei videogiochi Jinx era considerata semplicemente una pazza, nella serie si affrontano le ragioni che portano questo personaggio a diventare tale e il percorso è coerente e si intreccia perfettamente con le vicende degli altri personaggi: la creazione dell’Hextech, gli esperimenti sullo Shimmer, il malato rapporto padre-figlia con Silco, l’arrivo di Vi che cerca sua sorella Powder, sepolta da qualche parte nella testa di Jinx.
Con il concludersi della stagione, vediamo anche la “fine” dello sviluppo di Powder/Jinx, personaggio spaccato sin dall’inizio che giunge a comprendere la sua identità e accettarla (pare) del tutto. Le altre storyline sono lasciate invece sospese in una sorta di limbo, non giungono ad una conclusione, ma solo a metà del loro sviluppo. Questo dà un senso di incompletezza fino ad un certo punto, perché nei fatti Powder/Jinx appare come quel collante che fa anche da motore per scatenare il chaos nelle storie di tutti gli altri personaggi, dando una brusca virata proprio sul finale.
Le conseguenze della sua personale epifania sul finale di stagione impattano così sulle storyline di tutti i personaggi intorno a lei, aprendo le porte a quella che sarà la seconda stagione, già in produzione.
In attesa della seconda stagione di Arcane
Arcane è un trionfo sia a livello visuale che di storytelling, una scommessa vincente che Netflix e Riot Games sono riuscite a portare a termine insieme. L’unica cosa che lascia quasi delusi è la durata della stagione, che fa venire voglia di avere già altri 9 episodi a portata di mano per approfondire ancora di più il viaggio dei personaggi che ti vengono presentati.
Questo ovviamente non rende Arcane assolutamente perfetto: come in ogni cosa, quando si raccontano storie di questo genere in un tempo limitato inevitabilmente ci si trova a dover tagliare alcuni passaggi e lasciare che sia lo spettatore a riempire le connessioni che sembrano mancare, o quegli aspetti del passato dei personaggi che non sono state raccontate per forza di cose.
Questo può essere un difetto, anche se non necessariamente fatale per la serie, che rimane comunque ben strutturata. In quei momenti lo spettatore ha comunque la possibilità di “riempire gli spazi” da solo perché la coerenza della narrazione glielo permette anche senza dargli già tutto pronto. Questo può anzi essere un punto di forza, perché lo spettatore ha uno spazio di manovra per comprendere e interpretare i personaggi e le vicende facendo le sue ipotesi ed elaborando le sue teorie, cercando di immedesimarsi nei personaggi per poterli leggere meglio là dove non viene reso palese ogni passo del loro percorso.
Sicuramente le aspettative per la seconda stagione sono molto alte, dal momento che il risultato ottenuto con questa prima parte rende Arcane una delle serie d’animazione più curate mai giunte su una piattaforma streaming.
Ogni frame regala fondali e dettagli indimenticabili, la colonna sonora accompagna i personaggi nel loro viaggio in modo impeccabile risultando sempre adatta alla situazione e allo stato d’animo dei protagonisti e, da ultimo, la regia ha dei momenti in cui le parole risultano quasi superflue, perché il solo lavoro di animazione e l’espressività dei personaggi permette di comprendere appieno anche le sfumature che la serie vuole trasmettere a noi spettatori.
Coloro che si sono già affezionati alla serie e ai suoi personaggi dovranno attendere la seconda stagione per scoprire dove il cliffhanger dell’ultimo episodio intende andare a parare. Riot Games ha già annunciato che Arcane s2 non uscirà nel 2022, perciò non rimane che fabbricare teorie nell’attesa.
Empire Of Shit: È italiano il nuovo film in collaborazione con il mangaka Shintaro Kago, autore di “Principessa del castello senza fine”, “Fraction”, ”Anamorphosys” e tanti altri titoli cult per i fan del genere.
Il regista infatti è Alessio Martino: Salerno, classe ‘2000, laureando in Cinematografia presso l’accademia delle Belle Arti di Napoli.
Questa storia inizia nel 2021, quando Kago e Martino incrociarono le loro strade grazie alla partecipazione di quest’ultimo al Contest Cinematografico Unco Film Festival, in cui il famoso mangaka partecipava in qualità di organizzatore e giudice. Martino presentò allora il suo corto “Brief Clisterization of Ideology”, ambientato in un mondo distopico, con la quale si aggiudicò il secondo posto.
Un anno dopo, nel 2022, Martino partecipò nuovamente al concorso con il film “The Formidable Wave that Destroyed and Recreate the World”, aggiudicandosi questa volta il primo premio: la merda d’oro.
Vi è infatti un tema comune in queste opere: la merda. Ed è infatti da questa idea, che Martino presentò a Kago nel 2023, che nasce The Empire of Shit.
La trama è apparentemente molto semplice:
Una giovane donna desidera che le sue feci abbiano un profumo gradevole, e il suo desiderio si avvera. Questo scatena la cupidigia del suo fidanzato, che vede un’opportunità di lucro in questa straordinaria qualità, trasformando una situazione intima in un’impresa commerciale bizzarra e surreale. Ci sarà però un’escalation di eventi, che porterà ad un finale inaspettato. Se tutto ciò vi ha incuriosito: non sentitevi soli, anche noi vorremmo sapere di più su cosa aspettarci, e proprio mossi da questa curiosità, abbiamo intervistato Alessio Martino, il regista di Empire of Shit.
Ciao Alessio, innanzitutto grazie per averci concesso questa intervista, perdonami ma la peculiarità del progetto mi porta a saltare alcune domande di rito e passare direttamente a questa:
Perché la Merda?
Ed è questa la domanda che ogni autore vorrebbe sentirsi porre. Scherzi a parte, sia io che Kago abbiamo molto a cuore il tema della merda perché nessuno gli dà il giusto peso. Che sia una commedia o uno Splatter la merda finisce sempre per essere del grottesco fine a se stesso ma fermandoci a riflettere sopra la materia di scarto ci si può trovare una grande fonte di riflessione.
Qual è il processo creativo dietro le scelte più audaci, sia visivamente che a livello narrativo?
Il divertimento. Quando il progetto è nato c’era una sola idea chiara in ballo: un Gojira fatto di cacca. Questo è uno di quei progetti dove il perno centrale su cui tutta questa macchina deve muoversi è proprio il divertimento. Dai costumi alla recitazione, tutto deve essere motivato dalla voglia di sperimentare e divertirsi su qualcosa che non si prenderà mai abbastanza sul serio… e forse proprio per questo sarà molto più seria di quanto essa stessa crede.
Hai lanciato una campagna indiegogo per finanziare questo progetto: qual è il tuo end-goal?
Prendere i soldi e scappar… cioè! volevo dire, realizzare un lungometraggio. Anche se sembra un’impresa titanica il goal finale sarebbe quello di poter estendere la durata del film al punto tale da darle un corpo vero, e con esso verrebbero tutte quelle fantastiche chicche in più, come la storia manga prequel disegnata da Kago
Come hai attirato l’attenzione del Maestro Kago?
Ma, di per sé è stato un evento molto organico. Ero a Lucca Comics per girare un documentario, lui era lì come ospite e gli ho semplicemente chiesto di prenderci una birra insieme (le birre alla fine furono molto più di una). Da lì Kago mi ha dichiarato tutto il suo interesse nel voler dedicarsi da anni ad un progetto cinematografico senza avere però mai il tempo per poterlo fare effettivamente. E da quì è arrivata la mia proposta…
Quanto influisce la presenza del mangaka sulla produzione del film?
Tantissimo. Sotto ogni aspetto. Il progetto senza di lui non esisterebbe proprio. Tutto l’aspetto visivo della fabbrica, dei mostri (Coff, coff… scusatemi per lo spoiler), della palette cromatica e del taglio narrativo è tutto frutto della sua vena artistica che noi come troupe stiamo concretizzando.
Che emozioni pensi scaturirà il tuo corto nel pubblico?
Così come ti dicevo riguardo il processo creativo, io spero diverta. Spero davvero che lo spettatore si senta annichilito da tutta la follia che gli verrà tirata addosso e che l’unica cosa sensata che si senta di fare sia ridere. Se poi restassero shockati e traumatizzati al punto tale da volerci denunciare, beh se la vedranno con i legali miei e di Kago!!
Posso avere anche io dei gadget?
No. Scherzo! Se la campagna supererà il goal base, ci saranno belle sorprese per tutti i donatori, ma non posso dire altro ora.
Ti ringrazio nuovamente per averci dedicato del tempo parlandoci del tuo progetto.
Ma grazie a te per avermi dedicato il tuo. E come dice la nostra mascotte Mr. Unkoman: “Unko! Unko! Unko!”.
Cari lettori, non sappiamo esattamente cosa aspettarci, ma l’hype c’è, e sicuramente ciò che fa più piacere è vedere un talento emergente nostrano mettersi in gioco.
Potete anche voi finanziare questo progetto tramite la campagna indiegogo!
Il documentario Il Padiglione sull’Acqua è un viaggio, estetico e poetico, nell’immaginario dell’architetto veneziano Carlo Scarpa e nella sua passione per la cultura giapponese. Il Giappone rappresentò per l’architetto un universo ispirazionale ma fu anche il luogo dove egli morì, nel 1978, all’apice della sua carriera, ripercorrendo misteriosamente i tragitti del poeta errante Matsuo Bashō.
Attraverso le impressioni suggerite dal filosofo giapponese Ryosuke Ōhashi, la narrazione si sviluppa lungo il filo di una domanda, la domanda sul senso della bellezza. La possibilità̀ di questa riflessione accomuna qui le opere scarpiane e l’estetica tradizionale giapponese. Venezia, nella veste di porta verso l’Oriente e luogo di nascita di Scarpa, e l’esplorazione incantata delle sue opere, sono l’occasione per rievocare la poetica ed episodi emblematici della vita dell’architetto.
Essi sono restituiti attraverso le parole del figlio Tobia, dagli allievi Guido Pietropoli, Giovanni Soccol e Guido Guidi, e dal ricercatore J.K. Mauro Pierconti. Un sentimento di nostalgia colora tutta la narrazione. Una nostalgia per quell’evento raro che è la nascita di un artista. Seppur ora abbia abbandonato questa terra, lascia in dono le sue opere e la meraviglia che esse tuttora suscitano.
Carlo Scarpa il Giappone
Carlo Scarpa amava definirsi «bizantino nel cuore, un europeo che salpa per l’Oriente» e proprio come l’artista veneziano, Stefano Croci e Silvia Siberini viaggiano attraverso le ispirazioni nipponiche che lo hanno guidato nella sua costante ricerca del senso della bellezza.
Per farlo, in Il padiglione sull’acqua si fanno guidare dalle ispirazioni del filosofo Ryōsuke Ōhashi e dalle testimonianze del figlio Tobia Scarpa, degli allievi Guido Pietropoli, Giovanni Soccol e Guido Guidi, del ricercatore J.K. Mauro Pierconti, degli artigiani Paolo e Francesco Zonon e della maestra di ikebana Shuho Hananofu.
Nel 1978 Carlo Scarpa tornò in Giappone. Nessuno sa con precisione quali fossero i suoi intenti. Il celebre architetto giapponese Arata Izosaki ha ipotizzato che stesse ripercorrendo le stesse tappe del poeta errante Matsuo Bashō, riportate nel diario di viaggio Lo stretto sentiero verso il profondo nord, ma purtroppo morì a seguito di una tragica caduta e non raggiunse mai la meta anelata.
Lasciò incompiute delle opere, che lo resero ancora più celebre, come il Memoriale Brion a San Vito di Altivole in provincia di Treviso, scelto anche da Denis Villeneuve tra le location del prossimo capitolo di Dune.
Apple TV+ ha svelato il trailer di “Constellation”, il nuovo thriller psicologico composto da otto episodi intepretato da Noomi Rapace (“Millennium – Uomini che odiano le donne”, “Non sarai sola”, “Lamb”, “Seven Sisters”) e dal candidato all’Emmy Jonathan Banks (“Breaking Bad”, “Better Call Saul”). La serie farà il suo debutto su Apple TV+ il 21 febbraio con i primi tre episodi seguiti da un episodio a settimana, fino al 27 marzo.
Creata e scritta da Peter Harness (“Il commissario Wallander”, “The War of the Worlds”), “Constellation” ha come protagonista Noomi Rapace nel ruolo di Jo, un’astronauta che torna sulla Terra dopo un disastro nello spazio e scopre che alcuni pezzi fondamentali della sua vita sembrano essere scomparsi. La serie è un’avventura spaziale ricca di azione che esplora i lati più oscuri della psicologia umana e segue la disperata ricerca di una donna nel tentativo di svelare la verità sulla storia dei viaggi spaziali e di recuperare tutto ciò che ha perso.
Cast Constellation
Nel cast della serie figurano anche James D’Arcy (“Agent Carter”, “Oppenheimer”), Julian Looman (“Emily in Paris”, “Mallorca Crime”), William Catlett (“A Thousand and One”, “Coppia diabolica”), Barbara Sukowa (“Passioni violente”, “Hannah Arendt”) e con la partecipazione di Rosie e Davina Coleman nel ruolo di Alice. Diretta dalla vincitrice del premio Emmy Michelle MacLaren (“Shining Girls”, “The Morning Show”, “Breaking Bad”), dal candidato all’Oscar® Oliver Hirschbiegel (“La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler”, “The Experiment – Cercasi cavie umane”) e dal candidato all’Oscar® Joseph Cedar (“Footnote”, “Our Boys”).
Produzione
Prodotta da Turbine Studios e Haut et Court TV, “Constellation” è prodotta esecutivamente da David Tanner (“Small Axe”), Tracey Scoffield (“Small Axe”), Caroline Benjo (“No Man’s Land”), Simon Arnal (“No Man’s Land”), Carole Scotta (“No Man’s Land”) e Justin Thomson (“Liaison”). MacLaren dirige i primi due episodi ed è produttrice esecutiva insieme a Rebecca Hobbs (“Shining Girls”) e al co-produttore esecutivo Jahan Lopes per conto della MacLaren Entertainment. Harness è produttore esecutivo attraverso la Haunted Barn Ltd. La serie è stata girata principalmente in Germania ed è stata prodotta da Daniel Hetzer (“Monaco – Sull’orlo della guerra”) per Turbine Studios, Germania.